Ti voglio un bene pubblico. Coreografare relazioni attraverso i muri dello spazio urbano

di Elisabetta Consonni e Adriano Cancellieri

Ti voglio un bene pubblico è un progetto di Elisabetta Consonni, artista e coreografa, nato nel 2019, prodotto da Pergine Festival, Zona K-Milano, In/Visible Cities- Gorizia, Indisciplinarte- Terni e successivamente a Orlando Festival a bergamo, Peroferico Festival a Modena, La città che verrà a Padova. Il progetto è uno degli esiti di un più lungo percorso di ricerca volto a indagare il rapporto tra spazio urbano, corpo e coreografia. Dopo la collaborazione tra Elisabetta Consonni e Adriano Cancellieri nel contesto della Biennale Danza 2016 per il progetto Abbastanza spazio per la più tenera delle attenzioni, si vuole in questo testo continuare il dialogo tra pratica coreografica e ricerca sociale, a partire dall’ esperienza di Ti voglio un bene pubblico.

Photo Elisa Vettori

Ti voglio un bene pubblico (TVUBP) nasce dallo scontro tra due sistemi di organizzazione dello spazio: quello ‘straordinario’ coreografico e quello ‘ordinario’ del fluire quotidiano della vita urbana. L’aspirazione coreografica di sondare le limitatamente infinite possibilità di movimento si confronta, nella città, con disposizioni più forti perché routinarie e in qualche modo istituzionalizzate. Tecnicamente, Ti voglio un bene pubblico è un gioco urbano che si articola tra gli elementi architettonici di divisione quali (es. cancelli, muri, recinti) di cinque differenti città italiane (Gorizia, Milano, Padova, Pergine, Terni). Per affrontare il contesto spaziale ad armi pari, la presenza di performers/danzatori viene volutamente marginalizzata, ovvero spostata al margine delle dinamiche performative, al centro delle quali vengono invece portati, di volta in volta, i cittadini del territorio.   Ti voglio un bene pubblico tenta di attivare il contesto urbano, in maniera ludico-performativa, come una sorta di escape room o caccia al tesoro : i partecipanti, inizialmente ‘intrappolati’ in uno spazio pubblico chiuso, devono trovare le chiavi per uscire; divisi in due squadre, con indizi diversi su percorsi altrettanto diversi ma paralleli, continuano ad incontrarsi ma sempre separati da un elemento architettonico di divisione; troveranno ulteriori indizi per continuare ma saranno sempre indizi per la squadra avversaria. La morfologia dell’elemento architettonico di divisione suggerirà loro la modalità per passare l’indizio alla squadra opposta; è così che la spontanea tendenza alla competizione, tipica di un gioco, necessita della cooperazione per mantenere il gioco funzionante; vorranno competere con la squadra avversaria ma si troveranno sempre nella posizione di dover cooperare con quelli dall’altra parte del muro, di aspettarli, di immaginarli, di suggerire soluzioni e ricevere suggerimenti, di tentare una comunicazione nonostante la barriera.

Photo Piferi de Simoni

Nel declinare la coreografia in un contesto che non è quello convenzionale e protetto dello spazio performativo tradizionale ma piuttosto quello urbano, l’organizzazione spaziale di TVUBP attivata dalla pratica artistica dialoga ed entra in competizione più evidente con altre strategie di organizzazione sociale dello spazio. Un’idea di coreografia espansa, dunque, che non si cala indifferentemente rispetto ai contesti, per preservare una sua presunta purezza e superiorità, ma che, al contrario, fonda proprio la propria autorevolezza sulla capacità di costruire relazioni con gli attori e con i territori.

Ti voglio un bene pubblico è processo artistico fatto di pratiche di osservazione della morfologia del contesto, di ricerca di elementi architettonici di divisione presenti e di relazione con chi  vive e si interfaccia con questi elementi. Il processo inevitabilmente fa emergere molteplici temi e significati. Si muove tra questi significati e li rende  coreografia.

“più che altro è come uno usa il muro”*

Ti voglio un bene pubblico gioca con gli elementi che puntellano e strutturano gli spazi della vita quotidiana  ma che, proprio per questo, vengono dati per scontati;  sono cioè considerati ‘naturali’, perchè abituali e condivisi (Alfred Schutz ,1974), mai messi in discussione a meno che intervengano azioni particolari a far venir meno tali certezze. Ti voglio un bene pubblico aiuta a far emergere questa struttura solida ma fragile e discutibile.

“Circondare gli spazi pubblici è un peccato però purtroppo dipende dalla mancanza del senso civico di ognuno, perché dal punto vista culturale non c’è la concezione che se rovini qualcosa di pubblico stai rovinando qualcosa che è tuo”

I luoghi indagati ed attraversati da TVUBP sono fortemente caratterizzati da elementi di divisione: a Milano, la recinzione  di un minuscolo parchetto pubblico di passaggio tra due grandi vie in Via dei Transiti, a Padova  una zona ex-industriale occupata da associazioni culturali e religiose multietniche separata prima da un cancello sempre aperto poi da un muro dalla parte residenziale del quartiere (Arcella), a Terni uno storico mercato attualmente chiuso, a Pergine, l’ex Teatro Tenda costruito da volontari negli anni 70 ormai non più accessibile, a Gorizia non un luogo fisico ma la protesta di cittadini contro l’ipotesi del governatore della regione di erigere un muro anti- migranti. Il processo artistico situato in questi luoghi apre una riflessione sulla comunicazione tra privato e pubblico, sulla possibilità di creare dei buchi nella recinzione del proprio privato perché delle informazioni possano circolare ma anche sull’ effetto privativo, in termini di responsabilità, verso un bene comune che una recinzione mette in atto.

Photo Capati

Ti voglio un bene pubblico è anche un processo di ricerca che innesca una modalità di relazione con gli abitanti e il territorio fatta di domande sui luoghi e sulle loro divisioni che poi diventano materiale audio che, al momento del gioco, saranno ascoltati dai partecipanti come voci proveniente proprio da quegli spazi a cui i partecipanti non hanno accesso. Dialogo con gli abitanti che assume anche altre forme durante il gioco perché c’è chi si presta ad aprire la porta di casa alle due squadre, chi finge di essere un passante che apre la porta o che scopre un indizio. Gli abitanti diventano quindi gli agenti di un’apertura di un territorio, di un attraversamento, di una nuova consapevolezza.

“L’importante che ci sia un porta che le persone possono aprire da dentro e anche da fuori se vuoi farmi entrare”

Ti voglio un bene pubblico provoca, quindi, una circolazione di corpi e di infomazioni che ribaltano alcune routinarie contrapposizioni fra dentro e fuori, partendo dalla constatazione simmeliana che tutto ciò che è separato può essere sempre potenzialmente collegato. Due spazi «separati» da un muro nel momento in cui li percepiamo insieme e li distinguiamo da tutto ciò che sta loro intorno, li stiamo già riferendo uno all’altro, li stiamo già unendo. TVUBP prova a trasformare i muri in porte, cioè elementi di separazioni e di attribuzione di senso che mantengono però sempre aperta la possibilità di apertura (e quindi di rottura della separazione). TVUBP pone attenzione sui concetti di privato e di pubblico, intesi non in senso giuridico ma interazionale, perché sono le interazioni a decretare il grado più o meno ampio di publicness. E’ l’accessibilità di un luogo, vale a dire il diritto di presenza, di entrata e uscita, per il numero più possibile ampio di soggetti, di comunità, di popolazioni a rendere uno spazio più pubblico; ma anche la possibilità di appropriazione temporanea, vale a dire la possibilità di manipolare uno spazio, di usarlo anche senza possederne un diritto di proprietà. Restituire publicness significa allora accrescere le possibilità dei soggetti di esercitare molteplici diritti spaziali su quel luogo.

In conclusione, quindi, viene da chiedersi quanto questo processo artistico di esplorazione multisensoriale e di organizzazione delle relazioni dei corpi nello spazio urbano, possa contribuire a leggere le relazioni urbane, ad attivare nuove relazioni e ad ‘educare all’attenzione’ nei confronti del proprio contesto. Viene da domandarsi quale possa essere il ruolo dell’arte nei processi di ‘scrittura della città’ e quanto sia necessario esplorare, senza la rincorsa di facili mode, la tensione dialettica intrinseca alla pratica artistica tra esperienza estetica e potenziale ‘politico’ trasformativo. Viene da chiedersi se e che tipo di conoscenza un progetto artistico di questo genere possa produrre e che tipo di riflessioni  possa innescare. Ci si interroga, infine, su quanto sia necessario porre al centro i temi  sollevati da Ti voglio un bene pubblico (es. l’accessibilità, l’appropriazione e la risignificazione dello spazio pubblico) in una fase attuale in cui lo spazio urbano praticato al tempo del Coronavirus è soprattutto quello dei luoghi privati – le case – a cui si deve andare e tornare nel minor tempo possibile e dove  spazio pubblico diventa una parte marginale del “dominio indiscusso” dello spazio privato.

[*Le frasi in corsivo sono prese dalle interviste fatte ad abitanti dei cinque luoghi, alcuni dei quali poi divenuti complici nel gioco.]

Ti voglio un bene pubblico è stato realizzato grazie alla collaborazione di Cristina Pancini, Sara Catellani, Chiara Panceri e Barbara Stimoli e tutte le persone incontrate nei luoghi in cui è stato declinato. Un grazie particolare a Chiara Organtini.

Un progetto prodotto da Pergine Festival, co-prodotto da Zona K, Indisciplinarte Terni, In/Visible Cities- Contaminazioni Digitali.

La versione integrale dell’articolo si trova in https://ergonomicaproject.wordpress.com/

Una raccolta di materiali di ricerca e documentazione relativi al progetto sarà esposta nella mostra Ti voglio un bene pubblico- esposizione attraversabile di materiali, presso PIA| Palazzina Indiano Arte, prodotta da Centro Nazionale di Produzione  Virgilio Sieni.

All’interno del Public Program di Payground verrà creato uno spazio di discussione attorno a TVUBP  partendo da diverse prospettive di pensiero. L’evento si terrà online il 19/02/2021 qui https://www.facebook.com/events/752713369000074/.

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